
Esiste in Campania una vera e propria tradizione legata alla costruzione di questi semplici strumenti musicali che, serigrafati, diventano delle vere e proprie opere d’arte. Tammorre, triccheballacche, scetavajasse hanno la particolarità di poter essere suonati da chiunque, per la loro semplicità.
La Tammorra è un grande tamburo in legno costituita da una membrana in pelle di ovino e arricchita da cinque di coppie di piattelli metallici. Il suono viene ottenuto battendo ritmicamente le dita o il palmo della mano destra sulla membrana, mentre la sinistra, oltre ad impugnare, serve per far tintinnare i piattelli.
Il Triccheballacche è uno strumento realizzato con un telaio di legno nel quale scorrono due martelli anch’essi di legno, che il suonatore fa battere contro un terzo martello centrale, fissato al telaio. Sulle facce esterne dei martelli sono, inoltre, apposti piccoli dischetti di latta anch’essi tintinnanti. il Putipù consiste, invece, in un contenitore cilindrico, ricavato da recipienti d’uso comune (barattoli di latta o pentole – da cui deriva l’altro nome utilizzato: “caccavella” – ma anche recipienti di terracotta o di legno).
Lo Scetavajasse, infine, è uno strumento composto da due parti, due aste di legno, delle quali una è liscia e l’altra dentellata, con ai lati dei piattini metallici il cui suono produce un caratteristico strepitìo – in napoletano definito “nfrunfrù” – causato dalla vibrazione dei piattini. Dal suono prodotto deriva l’originale nome di Scetavajasse ovvero “sveglia” e “vajasse” (Vajassa: domestica, spesso sinonimo di donna sguaiata e volgare).