
C’è una strada a Napoli che porta il nome di un santo ma che tutti conoscono come la via della musica. Via San Sebastiano: di lì sono passati maestri come Scarlatti, Cimarosa, Rossini, Pergolesi, e più recentemente artisti del calibro di Renato Carosone, Pino Daniele, Edoardo Bennato. Cos’ha di particolare? Conserva nelle sue botteghe l’antica arte dei liutai napoletani. Percorrerla, alzare lo sguardo verso i palazzi storici, buttare l’occhio nelle vetrine e accorgersi che da sinistra a destra è tutto un fiorire di violini, chitarre, mandolini e pianoforti è un po’ come rivivere la storia della musica all’ombra del Vesuvio. A un passo da lì, del resto, c’è l’ex convento dei celestini, sede dagli inizi dell’800 del Conservatorio di San Pietro a Majella, che custodisce nei suoi archivi e nel suo museo testimonianze vivide degli antichi fasti.
Una strada simbolo, dunque, che ovviamente non può confinare in sé la grande storia dei liutai napoletani. Tutto il centro storico, dai Quartieri Spagnoli a piazza dei Martiri, da Pizzofalcone a piazza San Domenico, conserva testimonianze di un passato glorioso che, verso la fine del ‘500, ebbe un punto di svolta decisivo nell’incontro con i maestri della scuola tedesca di Füssen e riferimenti indiscussi in alcune storiche botteghe artigiane. Come quella di Alessandro Gagliano considerato il primo grande liutaio, capostipite della scuola napoletana, amico del grande Antonio Stradivari, o come quella dei Vinaccia, tra le più longeve famiglie della città, a cui si deve l’inizio della produzione del classico mandolino intarsiato e con corde in acciaio. E poi i Ventapane, i Fabricatore, i Filano.
Tutti nomi scomparsi ormai dalle insegne delle botteghe di oggi, che hanno le fattezze di moderni negozi di strumenti musicali piuttosto che di laboratori d’arte, come una volta. Eppure resta intatta la sapiente fattura, la qualità dei materiali e quel tocco di originalità che fanno dei prodotti napoletani veri e propri oggetti di culto per gli amanti del settore.