Porcellane di Capodimonte: quando Napoli rischiò di perdere la Real Fabbrica

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Le meraviglie della porcellana di Capodimonte sono di certo tra più importanti esempi dell’artigianato campano. Non tutti però sanno che questa grande tradizione, nota e apprezzata in tutto il mondo, rischiò di esaurirsi proprio all’alba della sua secolare storia, per mano, oltretutto, di colui che ne aveva dato avvio.

Eh già, perché nel lontano 1759 Re Carlo di Borbone, che tanto aveva voluto nel suo Regno la nascita di una fabbrica di porcellana che potesse competere in maestria con quelle della Germania e persino della Cina, decise di fermare tutto e trasferire macchinari e maestranze a Madrid, dove, morto il fratellastro, lo attendeva il trono di Spagna. Una scelta che nascondeva senza dubbio la passione del sovrano verso quella grande manifattura artistica ma che rischiava di penalizzare, e non poco, Napoli.

La Real Fabbrica di Capodimonte era nata 3 lustri prima proprio per iniziativa, come detto, di Carlo e di sua moglie, la regina Maria Amalia di Sassonia, nipote di Augusto il Forte fondatore della celebre fabbrica di porcellane di Meissen. Sapeva bene, il Re, che una manifattura così importante avrebbe dato lustro al suo Regno elevandolo al livello delle più avanzate corti. E per questo aveva chiamato a Napoli i migliori esperti, come il chimico Livio Schepers e il decoratore piacentino Giovanni Caselli. Furono loro a ricavare dalle argille locali un impasto morbido e bianco che, modellato, donava alla porcellana un aspetto straordinario e del tutto peculiare.

Per fortuna Napoli, dopo l’abbandono di Carlo, non perse definitivamente quella “reale” produzione. Dovettero passare però dodici anni affinché Ferdinando IV, terzogenito ed erede a Napoli del sovrano di Spagna, potesse smarcarsi dal controllo del padre e, contravvenendo alle sue direttive, fondare nel 1771 la Real Fabbrica Ferdinandea, contrassegnata da una “N” coronata di colore azzurro. Ricominciò così la grande storia della porcellana di Capodimonte.