La ceramica vietrese dall’epoca d’oro delle repubbliche marinare alle persecuzioni naziste

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Parli della penisola sorrentina o della costiera amalfitana e pensi al mare, alle montagne a strapiombo, ai panorami mozzafiato. Eppure c’è qualcosa che ancor di più lega questi luoghi all’eccellenza, la riggiola. Chi non sa di cosa si stia parlando può facilmente pensare a qualcosa da mangiare, magari a un piatto a base di pesce (ma la ricciola è un’altra cosa). Si tratta in realtà di ceramica, o meglio di una mattonella decorata a mano da esperti artigiani con forme e colori di vario tipo. È usata per rivestire pavimenti e pareti e in alcune località è un vero e proprio marchio di fabbrica. Provate a farvi un giro a Vietri sul mare, a due passi da Salerno, ultimo comune della costiera amalfitana, dove le mura esterne di tante abitazioni ne sono ricoperte e l’effetto ottico è di quelli strabilianti. Intorno alla riggiola sono nati mestieri, come quello del “riggiularo”, e fioriti commerci.

Una tradizione, quella della ceramica, che in queste terre ha radici antiche (addirittura V secolo a.C., periodo estrusco) e diverse forme d’espressione, dalle suppellettili al vasellame fino ad arrivare alle caratteristiche mattonelle decorate. Il fiorire di questa produzione lo si fa coincidere con la dominazione spagnola. E, del resto, come negare che la riggiola sia parente stretta della rajola (piastrella) catalana? Ma è l’incontro con tante altre culture ad aver contribuito nel tempo a rendere unico lo stile della scuola sorrentino-amalfitana e in particolare di quella vietrese.

Prima l’attività commerciale della repubblica marinara di Amalfi, poi gli anni del Grand Tour coincisero con periodi di grandi contaminazioni artistiche. Come nel ‘900, quando gli albori di una delle più grandi tragedie della storia, l’olocausto, diedero inizio, quasi per paradosso, a un periodo di rinnovato splendore della produzione ceramista locale. Accadde infatti in quegli anni che una folta colonia di ebrei tedeschi trovò rifugio proprio in costiera dando nuova linfa all’attività delle botteghe locali.

Significativa è la storia di Max e Flora Melamerson che, scappati da Berlino, finirono per fondare a Marina di Vietri una delle fabbriche destinate a rivoluzionare la produzione vietrese, con l’arrivo di altri artisti stranieri, innovazioni cromatiche, nuovi linguaggi espressivi e metodi di lavorazione. I due purtroppo, neanche in Italia, trovarono pace duratura. Colpiti dalle leggi raziali di Mussolini, fedele alleato di Hitler, persero fabbrica e abitazione e furono deportati nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia in Calabria. Per fortuna si era sul finire della guerra, la vittoria delle truppe angloamericane poté restituire loro la libertà ma non ciò che, intanto, avevano perso a Vietri. Trasferitosi a Roma, Max Melamerson morì poco dopo, nel 1948. Di loro, come di tanti altri, resta in queste terre l’eredità, testimoniata ancora oggi dall’eccellenza della ceramica vietrese.